Pochi giorni fa ho scritto un post su Facebook in cui spiegavo il bisogno di concentrarmi su poche attività e il desiderio di vivere questo tempo di mezzo considerando alcuni elementi. Per me il tempo di mezzo rappresenta un periodo di mesi e probabilmente di anni che ci porterà nell’era successiva, ma prima di arrivarci ci saranno cambiamenti radicali per tutti, avanzamenti scientifici incredibili e ahimè anche guerre (in varie forme). Le energie – permettetemi di scrivere così senza volerne fare una questione esoterica – si stanno concentrando come se fossero il magma di un vulcano prima di esplodere. Non le sentite nell’aria con inquietudine quando si parla sempre più di riarmo? Non le vedete fra le righe dei dibattiti pubblici con un clima di tensione in escalation? Non vi sembra che le diramazioni dei mass media stiano nutrendo un linguaggio polarizzato contro l’altra parte del mondo?
Ecco forse un aspetto prezioso della lettura, aiutarci a scorgere la luce fra le tenebre, permetterci di notare schemi già visti in passato, donarci alcune ore ogni settimana per ritrovare la centratura emotiva.
Intendiamoci, non penso necessariamente a un conflitto mondiale, anche se purtroppo è nelle possibilità (la notizia che gli USA stanotte hanno attaccato l’Iran è pessima direi), quanto invece a un tempo di mezzo in cui gli spazi di espressione e quotidiani convivono con le paure esistenziali. Più di prima, diversamente da prima, come se un prima fosse cambiato per sempre.
In quale modo affrontare tutto questo? Alzando gli occhi. Guardare attorno. Dare precedenza alla vicinanza fuori dagli schermi. Creare soprattutto narrazioni nella fisicità e subire meno quelle digitali. Ma vale per me, per voi forse è diverso.
Foto di cottonbro studio
TRACCE DI LETTURA
Rami secchi di Mario Soldati (edito da minimum fax nel 2024, ma originariamente da Rizzoli nel 1989)
Una perla che ripercorre alcuni momenti di vita del grande scrittore, scomparso nel 1999. Un libro pubblicato quando Soldati aveva poco più di ottant’anni e lui ritorna coi pensieri a eventi che lo hanno segnato. Lo consiglio a chi voglia sentire risuonare dentro di sé saggezza e sguardo maturo verso le questioni umane. Ha davvero senso dare troppa importanza ai nostri drammi? Ha davvero senso preoccuparsi del domani? Ha davvero senso volere capire sempre in profondità le cose?
UNA BREVE LETTERA IMMAGINARIA
A Marguerite Yourcenar
Cara Marguerite,
mi torna alla mente quando parlavi del digiuno nelle Memorie di Adriano. Quella frase sottile e potente: «In certi momenti della vita, ad esempio nei periodi di digiuno rituale, o durante le iniziazioni religiose, ho apprezzato i vantaggi, nonché i pericoli, per lo spirito, delle diverse forme d'astinenza». Lì ho capito tanti anni fa – e ben prima ch’io lo praticassi – che il digiuno non fosse solo una pratica del corpo, ma una forma di ascolto. Una sospensione che fa spazio, una ribellione silenziosa al troppo. Tu scrivevi come chi ha conosciuto le tentazioni del potere, della bellezza, della parola, eppure inseguiva l’essenziale. Ogni tua pagina pesa poco e lascia un’impronta densa, al pari del passo di chi cammina sulla sabbia senza far rumore.
A volte ti rileggo, soprattutto nei momenti in cui il presente mi appare troppo rumoroso, troppo pieno di opinioni, esibizioni, gesti privi di radici. Tu, invece, sapevi affondare nella storia e nello spirito umano con una grazia che non chiedeva applausi. Non cercavi di colpire ma ti interessava comprendere. Ed è questo che spesso manca, oggi. Non la tua eleganza, non la tua cultura, ma il tuo modo di guardare le cose da dentro.
Se potessi scriverti davvero, ti chiederei una cosa sola: come si fa a non perdere la profondità, mentre tutto intorno invita alla superficie? Tu che hai attraversato secoli con la mente, e la carne con disciplina, avresti di certo una risposta semplice. O forse, come Adriano, mi diresti solo: «Cerchiamo d'entrare nella morte a occhi aperti».
E io, lì, ti ascolterei.
Un tuo lettore affezionato, durante il tempo di mezzo.
Morgan
STRAPPI DI DIARIO (senza fare nomi)
23 novembre 2010 | Femminismi strani
Grazie a un amico comune, sono finito nello stesso tavolo. Una cena organizzata dalla libreria che l’ha accolta con tanto pubblico. Eccola lì, davanti a me, bella, intelligente, con un fascino magnetico. Parla da diva, non solo da scrittrice. Passa con facilità da Zadie Smith a Donna Tartt, da Grazia Deledda a Natalia Ginzburg, ammaliando tutti noi nel tavolo. Non sapendo io che cosa dire, il tempo lo passo in silenzio, ascolto. Magari per i bicchieri di vino di troppo, piano piano le sue parole diventano più personali, meno distaccate. Parla del marito. Parla dell’amante del marito. Un libraio le chiede perché le stia bene la situazione. «Mi sta bene perché i suoi soldi mi fanno ancora comodo», dice lei. Ma come, penso, parla di femminismo qui e di femminismo là, l’indipendenza delle donne deve essere il fulcro della società e poi dice una frase così. Rincara la dose: «So bene chi è l’amante, la conosco da anni, ha vent’anni meno di me. Non c’è partita sul fisico, ma la mia testa signori miei!» e ride. Sorridiamo per assecondare il suo sfogo. Boh. Un grandissimo boh.
I FARI DELLA LETTERATURA
LIBRI DA TENERE VICINO
Ci sono libri che, una volta chiusi, non si lasciano chiudere davvero. Restano lì, addosso. Ti svegli nel cuore della notte e li cerchi con la mano, come si fa con una coperta. A volte li lasci sul comodino, altre volte proprio sul letto, vicinissimi, come se la pagina potesse ancora respirare accanto a te. Sono quei libri che ti hanno colpito al punto da farti piangere, non per commozione facile, ma perché hanno aperto qualcosa che non sapevi di avere. Ti sei sentito visto. Smosso. Spogliato. Conservare quei libri vicino mentre dormi è un gesto piccolo, ma pieno: è come dire non voglio lasciarti andare ancora. È un modo per tenere viva la scossa, per non dimenticare quella frase precisa, quella svolta improvvisa, quella emozione che ha fatto tremare qualcosa dentro. Non tutti i libri lasciano traccia, eppure quando succede, quel dolore dolce diventa un compagno silenzioso. E allora sì, li teniamo lì. Non per rileggerli subito. Per ringraziarli.
Se vi piace quanto state leggendo, che ne dite di mettere un cuoricino alla fine? Grazie!
Foto di Pixabay
UN PENSIERO CHE SCAVA
Concludo, pertanto, che uno principe debbe tenere delle congiure poco conto, quando el popolo li sia benivolo; ma, quando li sia inimico et abbilo in odio, debbe temere d’ogni cosa e d’ognuno. E li stati bene ordinati e li principi savi hanno con ogni diligenzia pensato di non desperare e’ grandi e di satisfare al populo e tenerlo contento; perché questa è una delle più importanti materie che abbia uno principe.
[Il Principe di Niccolò Macchiavelli, edito da BUR]
UN LINK PER…
Andreste a fare un picnic in un cimitero? sul Post
LE PAROLE CHE DOVREBBERO RITROVARSI
Meccanica quantistica. Perché non lasciarla ai fisici teorici? Una delle teorie scientifiche più complesse e controintuitive che l’essere umano abbia mai elaborato, eppure da anni viene tirata in mezzo a sproposito: per giustificare pensieri magici, autoaiuto camuffato da scienza, pratiche energetiche e filosofie vagamente spirituali. «La realtà dipende dall’osservatore», «puoi modificare il mondo con l’intenzione quantistica»: frasi estrapolate male, semplificate al punto da diventare altro. La verità è che nessuna equazione quantistica spiega i desideri, né le particelle subatomiche hanno opinioni sulla tua autostima. La scienza merita rispetto. E anche le parole.
Foto di Dynamic Wang su Unsplash
LE PRESENTAZIONI DI LIBRI
Ma voi ci andate alle presentazioni di libri? Certo, sono ancora un’occasione preziosa per chi scrive: per incontrare i lettori, per uscire dalla solitudine della scrittura, per far vibrare la voce di un testo davanti a chi lo ascolta. Eppure, diciamolo: il pubblico è sempre più scarso. A meno che tu non sia un volto televisivo molto noto oppure un nome virale del momento, in molte librerie e biblioteche si contano le sedie vuote più delle copie vendute. C’è stanchezza, ma anche un problema di formato. Forse è il momento di ripensarle, queste presentazioni, no? Magari cominciando a renderle meno frontali e più dialogiche, più ibride, dove il lettore possa intervenire davvero e sentirsi un po’ protagonista, e non sentirsi solo spettatore. Forse dovremmo anche uscire dalle sale solite e portare i libri altrove: nei bar di quartiere, nei cinema vuoti il lunedì sera, nei mercati rionali, nelle palestre, negli ospedali, nelle fabbriche. Dove passa la vita, non solo la cultura. E poi cambiare approccio: non sempre mettere al centro l’autore, ma partire da una domanda forte che il libro solleva – la solitudine, la colpa, l’identità, l’amore che finisce – e far ruotare l’incontro attorno a quel nodo, come se il libro fosse un pretesto fertile, non un punto d’arrivo.
Infine, forse serve anche un piccolo scarto percettivo: iniziare con un gesto, una lettura teatrale, una canzone, una suggestione visiva o sensoriale che crei atmosfera prima delle parole. Non se ne può più dei soliti inizi con parole di elogio menzionando in breve la biografia dell’autore. Non uno show, ma un invito a entrare davvero.
Il libro resta il cuore. Ma forse abbiamo bisogno di cambiare il modo in cui lo facciamo battere fuori dalla pagina.
FACCIO COSE, VEDO GENTE
Fra quindici giorni vi aggiornerò da un Paese straniero, dove mi troverò temporaneamente. C’è una storia legata ai libri che vorrei raccontarvi. Lontana nel tempo, ma per me importante.
La notizia è ufficiale, questa estate sarà rilasciato ChatGPT-5, di cui si parla sostanzialmente da tre anni. Un salto di qualità notevole. Ci sarà da studiare.
A settembre ripropongo il corso per coloro che vogliono imparare a destreggiarsi fra le tante novità dell’AI Generativa, provando a sbirciare anche un pizzico di futuro.
A novembre il corso avanzato per creare agenti AI, solo per chi ha già le basi.
L’11 settembre parlerò di questi argomenti in un festival a Bassano del Grappa (VI), vi aggiornerò, per chi fosse interessato.
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Morgan
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Morgan, ti ringrazio di cuore per questa booksletter che mi ha colpito in modo particolare. Il tuo tempo di mezzo è anche il mio: osservo il mondo attorno a me che pare impazzito ma anche in ebollizione, nel bene e nel male. Non so cosa ne uscirà fuori veramente. Il mio tempo di mezzo è anche il mio mondo interiore, che in questo periodo è anch'esso in ebollizione, in parte influenzato dall'esterno, in parte in ebollizione interiore. Credo che io stia elaborando un momento di passaggio, che mi farà varcare la soglia verso nuove realizzazioni .Non so cosa ne varrà fuori, mi metto in ascolto interiore e vivo di emozioni e di azioni preparatorie.
Patrizia Masci