Nel momento esatto in cui scrivo queste righe, da qualche parte a Gaza qualcuno sente il sibilo di un missile. Un altro giorno di bombardamenti. Un altro pezzo di vita che si sgretola.
Mentre ciò accade, qui ‒ in questa parte del mondo dove possiamo permetterci il lusso della distanza ‒ ci infervoriamo per questioni molto diverse: chi dovrebbe vincere lo Strega? Perché quel romanzo è stato escluso? Come si fa a difendere quella scrittrice o quel libro?
Sono piani lontani, lo so. Non c’è colpa nel vivere in un luogo dove non cadono bombe. Ma fa impressione, a volte, rendersi conto della relatività di tutto. Non è un invito al silenzio. Né un’accusa. Ma una constatazione cruda: il privilegio non è solo avere una casa o la pace intorno, è potersi permettere il lusso di accendersi per una lista di finalisti.
C’è chi lotta per sopravvivere e chi si accende per difendere un’opinione letteraria su un social.
Come possiamo leggere, scrivere, discutere di libri senza dimenticare che, fuori dalla pagina, il mondo continua a tremare?
Io credo che la letteratura serva anche a questo, a non disimparare l’empatia. A non spegnere lo sguardo. A non rassegnarsi a un presente fatto solo di urla e silenzi troppo comodi.
Parlare di libri, oggi, non è un gesto frivolo. È un gesto che va fatto con consapevolezza e magari anche con un po’ più di grazia. Con senso del contesto. E, ogni tanto, con un po’ di vergogna.
Foto di Kenny Tosh
TRACCE DI LETTURA
Longevità funzionale – Il segreto della salute è nei muscoli di Dr. Gabrielle Lyon (traduzione di Annarita Tranfici, edito da Vallardi)
Mi ha incuriosito il titolo, i muscoli? Non ci avevo mai pensato più di tanto. Perciò, in libreria, ho cominciato a leggerlo. Un saggio divulgativo su argomenti che sembrano i soliti di tanti libri, ma in realtà con una prospettiva originale differente. Si parla molto di longevità e se si va nel dettaglio, che cosa significa investire sulla propria longevità appunto? Qui troverete analisi e consigli per un pubblico non specialistico. Lo consiglio.
UNA BREVE LETTERA IMMAGINARIA
Al Vate
Caro Gabriele,
ti scrivo da un mondo che ti avrebbe divertito e disgustato in egual misura.
Qui tanti si mettono in mostra, ma nessuno osa. Tanti scrivono, ma pochissimi rischiano. Le parole sono leggere, smaterializzate, si consumano in uno scroll. La maggior parte dei poeti, oggi, fa reel su Instagram.
Ripenso a te ragazzo, nei corridoi del Cicognini, già intento a immaginarti eterno, con quel gusto per il destino che in pochi riescono a reggere. Avevi diciassette anni e già sognavi di vivere in versi, di amare troppo, di lasciare il segno. Alla fine, quel segno, lo hai lasciato. Anche troppo, a dirla tutta.
Hai scritto Il piacere come fosse un manifesto personale, una dichiarazione di stile e di debolezza. Andrea Sperelli è un personaggio che ancora oggi ci guarda con aria complice e un po’ perduta.
Perché in fondo non era solo un esteta: era un uomo che cercava di salvarsi con la bellezza.
Come biasimarlo?
Tu hai esagerato in tutto: nel vivere, nel desiderare, nello scrivere. Ma almeno ci hai creduto.
Hai trattato la lingua italiana come una cosa viva, vibrante, degna di essere spinta al limite.
E se oggi sembri distante, artefatto, ingombrante, è anche perché quasi nessuno ha più il coraggio di essere tanto vivo sulla pagina.
Ti ho riletto di recente. Alcune frasi ancora esplodono. Altre fanno sorridere. Ma non importa.
Chi scrive per restare, accetta anche il rischio di passare di moda.
Ti immagino oggi, davanti a un pubblico distratto, mentre parli di voluttà e di arte con una rosa in mano e lo sguardo teatrale. Forse rideremmo. Ma poi, a casa, cercheremmo quelle frasi sul telefono. E magari, in silenzio, le copieremmo in un taccuino.
A modo tuo, ci manchi. Un po’ ci fai rabbia, un po’ ci ispiri. Ed è un ottimo risultato, per chi voleva semplicemente essere indimenticabile.
Morgan
STRAPPI DI DIARIO (senza fare nomi)
16 febbraio 2015 | l’editore provolino
Vado a Milano per parlare con l’editor X, è entusiasta del romanzo di Y. Ci vediamo nel quartiere Isola nel tardo pomeriggio per un caffè, dove vive (oggi non ha lavorato nell’ufficio della casa editrice). Il nostro rapporto è stato sempre formale, perciò non c’è mai stato spazio per le confidenze. Ma inizia a raccontarmi della sua fase particolare dal punto di vista personale, si è separato da poco tempo. «Mi dispiace» dico. «Dispiacere? Assolutamente no, sono rinato!» replica lui. Dopo circa 10-15 minuti che parla della «libertà ritrovata», usando le sue parole, gli chiedo che cosa ha da dirmi del romanzo della mia autrice. Mi spiega che è andato anche online a cercarla, che ha visto qualcosa fra Facebook e Instagram. «Bella gnocca!» esclama. Io rimango un po’ così, ma cerco di portarlo a parlare del testo. Nulla, è in fissa con lei. Mi fa domande personali e mi chiede se è sposata. Rimbalzo le domande e ho sempre più voglia di tirargli un pugno in faccia (cioè mi fai venire a Milano per parlare dei suoi occhi, di quella foto su Instagram, eccetera?). Cerco di stare calmo. Non riesce a parlare del testo, tranne poche cose inutili. “Morgan, mi raccomando, me la devi far conoscere, anzi portala a Milano così la incontro e capiamo che cosa possiamo fare con il suo romanzo» e a quel punto dico «senti, a parte il testosterone, sei davvero interessato al romanzo? Perché abbiamo anche un’altra casa editrice e sono qui per capire meglio il da farsi…» e la sua replica meravigliosa: «Ho bisogno di conoscerla, deciderò osservandola da vicino».
I FARI DELLA LETTERATURA
I BAMBINI CHE INIZIANO A SCRIVERE
Ci sono bambini che iniziano a scrivere prima ancora di sapere come si fa, inciampano tra le lettere, inventano la grafia, imitano il suono delle parole che hanno ascoltato mille volte, eppure in quel gesto incerto, in quelle frasi storte e bellissime, c’è già il seme di qualcosa di potente. La volontà di raccontare, di dare forma al pensiero, di mettersi al mondo con un io minuscolo ma chiarissimo, come se scrivendo cominciassero a prendere le misure del mondo e di sé, con matite troppo corte e mani troppo piccole, e una determinazione che noi adulti spesso abbiamo perso, perché per loro scrivere non è ancora prestazione, non è ancora ansia da voto o da giudizio, è necessità pura, è dire «questo è successo», «questo ho sentito», «questo immagino», ed è incredibile pensare che in quelle prime righe scritte male ci sia già la stessa urgenza che muove chi scrive da tutta una vita, lo stesso bisogno di trasformare il dentro in fuori, di rendere visibile quello che si agita dentro, e allora forse dovremmo osservarli meglio, quei bambini che iniziano a scrivere, non per correggere subito, quanto invece per ascoltare, per custodire il momento in cui la scrittura non serve a dimostrare niente, solo a esistere un po’ di più.
Se vi piace quanto state leggendo, che ne dite di mettere un cuoricino alla fine? Grazie!
Foto di Jean-Louis Paulin su Unsplash
UN PENSIERO CHE SCAVA
Gli usi e i costumi in Italia si riducono generalmente a questo, che ciascuno segua l’uso e il costume proprio, qual che egli si sia. E gli usi e costumi generali e pubblici, non sono, come ho detto, se non abitudini, e non sono seguiti che per liberissima volontá, determinata quasi unicamente dalla materiale assuefazione, dall’aver sempre fatta quel tal cosa, in quel tal modo, in quel tal tempo, dall’averla veduta fare ai maggiori, dall’essere stata sempre fatta, dal vederla fare agli altri, dal non curarsi o non pensare di fare altrimenti o di non farla (al che basterebbe il volere); e facendola del resto con pienissima indifferenza, senz’attaccarvi importanza alcuna, senza che l’animo né lo spirito nazionale, o qualunque, vi prenda alcuna parte, considerando per egualmente importante il farla che il tralasciarla o il contraffarle, non tralasciandola e non contraffacendole appunto perché nulla importa, e per lo più con disprezzo, e sovente, occorrendo, con riso e scherno di quel tal uso o costume.
[Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani di Giacomo Leopardi, edito da Feltrinelli]
UN LINK PER…
Marie Ndiaye, una scrittura dell’inquietudine di Ornella Tajani
LE PAROLE CHE DOVREBBERO RITROVARSI
Impegno. Lo leggiamo ovunque: nelle call to action, nei profili professionali, nei discorsi motivazionali. Tutti sono impegnati, tutti ci tengono, tutti ci mettono il massimo. L’impegno è diventato una parola lucidata, esibita, sempre pronta a dimostrare qualcosa. Ma spesso più che agire, si dichiara. C’è chi lo scrive per rassicurare, chi lo pronuncia per apparire serio, chi lo usa come timbro per darsi credibilità. Il rischio? Che sembri impegno anche quello che è solo presenza passiva, partecipazione di facciata, entusiasmo a intermittenza. Forse dovremmo lasciarla in pace, per un po’. Farla tornare silenziosa, faticosa, concreta. Riconoscerla nei dettagli e nelle scelte che non si vedono, nella costanza senza platea. Perché il vero impegno, di solito, non annuncia. Fa.
Foto di Denisa Trif su Unsplash
POCHI ATTIMI
Ci sono momenti, leggendo, in cui non si legge più. Si tiene il libro aperto, gli occhi fissi a una pagina, ma qualcosa si è fermato. Una frase ci ha colpito o magari solo sfiorato. E all’improvviso si apre una pausa. Non quella per bere un caffè o controllare il telefono, ma una pausa vera, interiore. Una sospensione. In quel vuoto silenzioso, qualcosa risuona. Forse un ricordo. Forse un dolore che credevamo chiuso. Forse solo un’idea che si allunga dentro di noi e prende spazio. È il momento in cui il libro smette di essere carta e diventa specchio, eco, fenditura. Non stiamo più solo leggendo: stiamo rielaborando, accogliendo, cambiando impercettibilmente. Ecco, quella pausa è una delle cose più preziose della lettura. Un attimo che non si misura in tempo, ma in profondità. E che, spesso, ci accompagna molto più a lungo dell’ultima pagina.
FACCIO COSE, VEDO GENTE
Mi hanno invitato in un bellissimo festival a parlare di ciò che rimane di pertinenza umana con tutto questo proliferare di intelligenza artificiale. Tempo fa avevo scritto su Facebook un Manifesto Umano del 2035. Sembra di essere dentro un romanzo sci-fi ma la verità è che la velocità dei cambiamenti ci passa davanti al naso senza a volte la nostra piena comprensione. Del festival vi dirò appena sarà tutto ufficiale anche nel loro sito.
Si parla sempre più di agenti AI, ma che cosa sono? Da alcuni mesi sto studiando e sperimentando, confesso che basta poco per capire dove andremo in pochissimi anni. Meglio darsi da fare da subito per farsi trovare pronti. Io propongo un corso da novembre che fornisca i primi strumenti per orientarsi.
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Vi ringrazio per l’attenzione e a presto!
Morgan
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Ciao Morgan, questa newsletter mi è piaciuta molto. I video li vedo sempre tutti, mi catapultano in un mondo che mi piace molto di più.
E poi Leopardi, D’Annunzio, quanti autori che è decenni che non leggo più. Sono perfetti in queste settimane di “maturità”.
Grazie anche per la riflessione su quello che sta succedendo a Gaza, siamo veramente fortunati.
A presto!
“Strappi di patriarcato”